Canti e suoni della "grande guerra"
Con i ragazzi delle classi quinte dello scientifico si è realizzato questo percorso collegato al progetto di Istituto relativo alla “grande guerra”.

DSC_0585

La guerra fu il primo evento corale "italiano”; interi strati della popolazione, a cominciare dai giovani, che parlavano e pensavano nell’orizzonte dei propri “dialetti” e delle proprie tradizioni si trovò a far condividere comuni esperienze, forzate e drammatiche, che cambieranno per sempre il nostro Paese. La retorica nazionalista e poi fascista si impossessò della rappresentazione degli eventi e, a lungo, la memoria fu dominata dall’esaltazione della “stirpe italica” e delle sue conquiste. Questo atteggiamento fu subito visibile nei “Canzonieri” ufficiali della “grande guerra”, qua i canti di protesta e poco consoni all’immagine dei “vincitori” vennero espunti e tralasciati. Allo stesso tempo, però, psicologi antropologi ed etnografi, anche italiani, ebbero tra le mani un gigantesco esperimento sociale su sui indagare, basti pensare a quelli che in Italia vennero definiti “scemi di guerra”, militari spesso sofferenti di fenomeni simili agli “shell shock” . A partire dal dopoguerra il nuovo assetto repubblicano e l’emergere di entità politiche rivolte a riscoprire l’origine della cultura popolare contribuirono a ridarci un quadro più accurato dello scenario sociale della prima guerra mondiale. I “Canzonieri” si arricchirono di molte tipologie di canzoni, di protesta, sofferenza e simili che prima non erano state catalogate. Questo percorso vuole incentrarsi su di esse.

Cominceremo facendo riferimento ad alcuni proclami delle gerarchie dell’esercito, registrate in forma audio dalla “Discoteca di Stato” subito dopo il conflitto, dove si evince la prospettiva nazionalista e “quantitativa” dello scontro, ovvero “numeri” e non “persone”. Se si analizzano i concetti esposti nel discorso per “L’Armistizio di Villa Giusti” del 3/11/1918 (ascoltabile nell’edizione in cd-rom del “Mussolini” di Renzo De Felice) si vedrà che vengono elencati i
23.164 kmq di territorio conquistati”, assieme ad “1milione 589mila quattrocento settantadue abitanti”, e che si era unificata “la stirpe italica”; il tenore del proclama e di quelli che seguirono li possiamo concludere un altro concetto esposto, ovvero “Il diritto consacrava quello che la forza aveva conquistato a Vittorio Veneto”.







CANTI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
(di Elena Tomarelli)

Cosa sono questi canti? Sono la voce diretta del popolo, tradotta in triste lamento per la famiglia lontana, doloroso appello alla pace a causa delle sofferenze al fronte, coraggiosa invettiva contro il potere o addirittura ironico scherno per criticare i superiori.

Perché è utile analizzarli? L'utilità dello studio di questi canti sta nel loro significato storico: come scrivono Savona e Straniero nell'introduzione di “Canti della Prima Guerra Mondiale”, essi si configurano come un “vasto poema popolare, contraddittorio e discontinuo” ma “irriducibilmente corale”.

suoni e canti grande guerra


Sono testi chiave, in quanto permettono di cogliere per la prima volta la storia della guerra vista “dal basso” con gli occhi di chi l'ha combattuta veramente, lontano dalla storia ufficiale e “depurata da ogni afflato eroico” di cui è stata rivestita.

Tuttavia si sono presentate difficoltà nella ricostruzione:

  • alcuni canti comuni vennero presi per militari;
  • molti, a causa della mentalità ancora poco aperta, sono stati epurati da elementi considerati
    osceni;
  • altri non vennero trasmessi, perché ritenuti di scarso interesse musicale date le melodie
    spesso molto semplici.
    Chi li canta, scrive, compone?
    Questi canti appartengono ai soldati, ma più in generale a tutti coloro che parteciparono al conflitto. Si possono distinguere in due categorie:
  • quelli composti dai militari stessi, spesso sulla base di motivi precedenti, appartenenti al Risorgimento o al mondo del lavoro, in cui venivano utilizzati per scandire i ritmi, che tramite una rielaborazione creativa sono stati riadattati al nuovo contesto;
  • Altri vennero composti da intellettuali o da ufficiali, ma questi canti imposti dall'alto presero poco piede, in parte a causa dell'avversione di molti per queste figure in parte per la complessità delle melodie.

canti grande guerra.cmap


Perché si canta? Il canto diventa espressione del morale del popolo militare, non un semplice “canta che ti passa”, ma un modo efficace per esporre le sue reali opinioni sul conflitto, sugli ufficiali, sulle condizioni, che sia esso un urlo, un pianto, una rara risata o un aspra critica.
Queste canzoni sono state distinte da Savona e Straniero in diverse categorie:

  • evasione, attesa, marcia
  • spavaldi, di esaltazione guerresca e di abnegazione patriottica;
  • di rabbia, protesta e scherno;
  • di rassegnazione, angoscia, dolore;
  • di prigionia;
  • inni militari;
  • di commiato;
  • altri;
    I più interessanti dal punto di vista storiografico sono quelli di dolore e rabbia perché, scevri da ogni influsso superiore, esprimono il morale delle truppe e le dure condizioni in guerra, troppo spesso ignorate dalla storia ufficiale.
    Le canzoni più celebri della prima guerra mondiale:
  • O Gorizia tu sia maledetta;
  • Il Piave mormorò;
  • Ninna nanna della Guerra;
  • La tradotta;
  • Addio padre madre addio;
  • Tapum;
  • General Cadorna;
  • Il testamento del capitano;
  • 'O surdato 'nnammurato;
  • Inno a Oberdan.
O Gorizia tu sia maledetta
E' uno dei canti più interessanti e significativi del primo conflitto mondiale. Come ha osservato Sergio Boldini, nel testo è racchiusa tutta l'essenza di ciò che provarono i soldati al fronte:”la violenza, l'inutilità e il dolore della guerra, gli affetti che si perdono, la discriminazione di classe tra soldati e ufficiali, i morti che non ritornano...”. Infatti il grande successo della battaglia non poté minimamente compensare l'altissimo numero di vittime che la conquista comportò: circa 50000 soldati e 760 ufficiali italiani e 40000 militari 860 ufficiali austro-ungarici.
Si possiedono molte versioni diverse del brano(come ad esempio “Alla conquista di Gorizia” o “Tu Gorizia addolorata”), alcune differiscono per pochi termini, altre per strofe intere: una di queste riporta una violenta invettiva contro gli ufficiali interventisti che vollero il conflitto, ma che non furono costretti, come i soldati, a pagare il caro prezzo che quella scelta comportava. La frase: “traditori signori ufficiali” riportata per mere ragioni storiografiche, irritò a tal punto due ufficiali delle forze armate che l'intero cast della rappresentazione durante il quale fu cantata, a Spoleto, fu denunciato.
La canzone in realtà era già nota prima del 1915, e si presume che fu riadattata in seguito al triste avvenimento secondo moduli di estrazione popolare risalenti al 1911-1912, anni in cui il soggetto del brano era la Guerra coloniale in Libia.

La leggenda del Piave

La canzone, scritta dal compositore dilettante Giovanni Gaeta, in arte E. A. Mario, versificando la lettera di un capitano ferito al fronte, personifica il fiume Piave trasfigurandolo in un patriota che si prodigò anche egli per la difesa della patria. Proprio per la sua musicalità semplice e immediata prese piede tra i soldati, oltre che per lo spirito patriottico con cui seppe risollevare gli animi dei militari delusi dalla pesante sconfitta di Caporetto. Il significato di quell'insuccesso fu infatti capovolto, e si preferii inneggiare al coraggio con cui si difese il confine naturale creato dalla linea del fiume Piave dopo la ritirata che colpevolizzare gli ufficiali, i quali non seppero fronteggiare efficacemente la tattica bellica nemica. La quarta strofa, che acclama alla vittoria, fu aggiunta successivamente. Da allora la canzone venne assunta come uno degli inni ufficiali della Grande Guerra italiana, sebbene successivamente ad alcuni fascisti il riferimento alle colpe degli alti ufficiali in merito agli insuccessi militari italiani non piacquero molto; per questo fu modificata la seconda strofa. Una parodia della canzone fu creata durante il periodo fascista da un anonimo compositore:”La leggenda del fascio”.

DSC_0589

Ninna nanna della guerra
Questa canzone, il cui testo fu scritto dal poeta dialettale romanesco Trilussa nel 1914, anno dello scoppio della Grande Guerra, riprende ritmi e schemi dei motivetti calmi e rasserenanti cantati per far addormentare i bambini, rovesciandoli ironicamente: le forti personalità politiche dell'epoca, come il Kaiser Guglielmo II e l'imperatore Francesco Giuseppe, vengono presentati come mostri grotteschi che spaventano i piccoli, invitati a dormire fino al termine del sanguinoso conflitto. La canzone infatti divenne un canto non solo di protesta contro la guerra, ma contro tutti i suoi meccanismi nascosti: essa è vista come un “gran giro di quattrini” in nome di qualcuno che si “scanna e ammazza in nome di una razza”, un inutile gioco di potere tra regnanti-parenti che al termine del conflitto torneranno “boni amici come prima” a fare discorsi su pace e lavoro a cui il popolo ingenuamente crederà.
Nonostante non si abbiano dubbi sull'origine del testo della canzone, si suppone che la musica, di cui si conoscono due versioni, derivi dal canto popolare piemontese “Feramiu”, ciò ha probabilmente contribuito a renderlo comune nelle trincee.

La tradotta

Anche di questo brano sono presenti numerose varianti, che fanno riferimento a episodi diversi della guerra; tuttavia in tutte troviamo la stessa triste frase: la partenza di ventinove soldati, di cui solo sette sopravvivono. Questo drammatico riferimento all'elevatissima mortalità della Prima Guerra mondiale viene inserito dagli alpini in una delle melodia cantate dai minatori del Gottardo riadattata. Una delle più celebri narra l'inutile attacco presso Son Pouses, che portò a numerose vittime e risultò inefficace, tanto che fu annullato a causa dell'impossibilità di competere con il fuoco delle mitragliatrici che sferza incessantemente i soldati e gli impedisce di tagliere il filo spinato. Si possiedono altre versioni in cui varia il luogo di partenza: troviamo infatti la “Tradotta che parte da Torino”, da Novara ecc..

DSC_0594

Addio padre madre addio
Questa canzone incarna pienamente la sofferenza vissuta dalla popolazione a causa della chiamata in guerra dei giovani, costretti a partire lasciando i genitori, le mogli, i figli e a morire uccisi senza pietà alcuna, in un conflitto voluto dai giovani studenti interventisti che, tramite le loro manifestazioni, hanno spinto all'entrata in guerra l'Italia. Si ritiene che questo canto nacque prima del conflitto (se ne possiedono infatti anche versioni dedicate alla Guerra in Libia), infatti sia il testo che la melodia andante sono costruiti sui modelli dei cantastorie.
Il fatto che ne siano presenti moltissime versioni, è un'ulteriore conferma della diffusione che il canto aveva raggiunto durante la guerra, soprattutto al Nord.

Ta-pum

Questa celebre canzone di guerra deve il suo titolo e ritornello al suono prodotto dagli spari delle armi da fuoco che colpivano i soldati, provocando prima un rumore dovuto all'impatto e poi all'eco. Fu ripreso da un precedente canto dei minatori che scavavano la galleria del San Gottardo: nel loro caso il suono era dovuto allo scoppio delle mine.
Narra il difficoltoso assalto degli alpini per la conquista del monte Ortigara, nei pressi di che provocò perdite altissime causate dall'impiego massiccio dell'artiglieria pesante, dei gas asfissianti, ma soprattutto dall'inadeguatezza della tattica bellica militare italiana, che prevedeva l'offensiva protratta ad oltranza nonostante le conseguenze disastrose fossero palesi.
Successivamente “Ta-pum” fu riadattato dai partigiani che lo adottarono durante la Resistenza.

DSC_0596

Il general Cadorna
Di questa ironica canzone si possiedono un folto numero di versioni, nate in fasi del conflitto e con tematiche diverse, ma tutte accomunate dalla melodia, “Bombace”, dal ritornello che riproduce onomatopeicamente il rombo del cannone, dalla vena sagace con cui si ironizza sull'inadeguatezza della tattica bellica del generale e sui suoi modi estremamente duri di gestire la disciplina dei soldati. Alcune delle più celebri furono quella nata all'alba della sesta battaglia sull'Isonzo, quella successiva alla conquista del caposaldo austriaco del Sabotino, la versione che narra l'occupazione di Monfalcone, e quella nata dopo la morte dell'imperatore Francesco Giuseppe. Ne esisteva anche una versione riportata nei verbali delle sentenze intentate da Cadorna contro i soldati che solevano dare il suo nome agli asini più testardi. Molte inoltre criticano il trattamento riservato ai soldati semplici, costretti a nutrirsi di castagne secche, quando il generale e gli ufficiali al contrario avevano la possibilità mangiare bistecche, e il fatto che lui, “mangia, beva, dorma” mentre il soldato “va in guerra e non ritorna”.

Inno a Oberdan

Questo canto rappresenta una violenta invettiva che incita alla guerra contro “L'austriaca gallina”, ovvero l'aquila bicipite simbolo dell'Austria che qui viene ironicamente sminuita. La figura di Franz (l'imperatore Francesco Giuseppe), viene contrapposta a quella eroica di Guglielmo Oberdan.
Questi era un martire irredentista impiccato a Trieste per aver tentato di uccidere proprio il sovrano asburgico, illiberale e reazionario e quindi un ostacolo all'annessione e alla libertà. Anche durante la seconda guerra mondiale questo canto fu adottato, in questo caso contro l'occupazione tedesca e le truppe fasciste alleate.

Il testamento del capitano

La canzone è un vero e proprio testamento delle sofferenze sopportate dagli alpini in guerra, costretti a combattere in un territorio avverso lontano dagli affetti e senza i giusti equipaggiamenti, tanto che i soldati arrivano in ritardo dal capitano morente perché non hanno nemmeno le scarpe. Egli chiede infatti che la sua morte non sia avvenuta invano, ma che serva proprio a ricordare il coraggio dei valorosi uomini che combatterono sul fronte montano: comanda che il proprio corpo sia tagliato in cinque pezzi, uno da mandare al re, uno per il battaglione, uno per la madre, uno per l'amata e un ultimo che rimanga in montagna, per far fiorire rose e fiori. Questa ultima forte immagine ricorre spesso nella poesia popolare, e verrà ripresa anche nel famoso canto partigiano “Bella Ciao”.
La canzone deriva dal “Testamento del marchese di Saluzzo”, un'antica ballata composta dai soldati del marchese piemontese, per onorarlo dopo la morte avvenuta durante l'assedio di Aversa. Ne nacquero diverse versioni in base al luogo di origine, che furono successivamente rielaborate dagli alpini e diffuse durante la prima guerra mondiale.

DSC_0621 DSC_0623

'O surdato 'nnammurato
La canzone, scritta da A. Califano e musicata da E. Cannio, rappresenta lo straziante lamento del soldato al fronte lontano dall'amata, raccontato tramite l'espressività del dialetto napoletano che può tuttavia raccontare il dolore provato da tanti militari provenienti da tutta Italia. I meridionali però, forse soffrirono ancor di più la distanza, perchè portati in una terra che sentivano troppo distante e diversa da loro. Va ricordato però, che questo canto fa parte di quelli ufficiali, creati ad hoc da intellettuali per i governanti alla ricerca di consenso. Sull'aria di “'O surdato 'nnammurato” furono riadattati diversi altri testi da autori anonimi.

Caratteristiche e genesi della Canzone Popolare

L’incontro è proseguito con la riproposizione dei classici “bombancé” sul general Cadorna e sulla loro comparsa nella storia popolare con Nicola che si è esibito alla chitarra aiutato da Giorgia nel canto. Infine, con Alice, si è cercato di cogliere il carattere del canto popolare che riutilizza temi e testi precedenti adattandole alle nuove situazioni, ripercorrendo la storia “possibile” di una canzone, ovvero “Bella ciao”, creduta canto specifico della seconda guerra mondiale, ma che ha il costrutto testuale risalente a pubblicazioni certe del ‘700 italiano, “Fior di Tomba”, e una melodia che sembra avere influssi dei primi del secolo, con sorprendenti analogie perfino con una canzone yiddish incisa negli Stati Uniti nel 1919.